Palazzo Scaruffi è un edificio situato nel centro storico, in via Crispi.
Note storiche
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Nell’XVIII secolo, Palazzo Scaruffi faceva parte di un isolato che comprendeva l’imponente Palazzo Busetti, il Collegio dei Gesuiti e alcuni edifici minori.
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Il nome del Palazzo deriva dalla famiglia Scaruffi che, a partire dalla metà del Cinquecento, si era arricchita grazie al banco di scambio e al commercio di spezie e seta.
Negli anni tra il 1560 e il 1590, il mercante Gasparo Scaruffi, autore del trattato “Alitinonfo” dedicato allo scambio della moneta, destina grandi risorse al palazzo di famiglia arricchendolo di apparati decorativi.
Nel 1572, Gasparo commissiona all’artista Prospero Sogari, detto il Clemente, due grandi statue raffiguranti Ercole e Marco Emilio Lepido. Le statue rimasero nel cortile del palazzo per una trentina d’anni e, in seguito, furono collocate nelle nicchie ai lati del portone di ingresso.
Nel 1724, l’ultima erede della famiglia Scaruffi concesse le due sculture del Clemente al Duca di Modena. Il Duca Rinaldo d’Este le fece quindi collocare ai lati dell’ingresso principale del Palazzo Ducale di Modena, dove tuttora si possono ammirare.
Gli interventi realizzati nel corso di oltre quattrocento anni hanno modificato profondamente l’aspetto originario, la distribuzione interna, le strutture e gli apparati decorativi del palazzo.
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Architettura
Oggi, nella facciata su via Crispi si possono ancora ammirare il portale cinquecentesco in arenaria, il balcone in marmo veronese e le nicchie che ospitavano le statue del Clemente.
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L’androne presenta una volta a padiglione con eleganti archetti, lunette sui quattro lati e doppio arco pensile privo di colonna centrale, con capitello in marmo rosso sovrastato da due teste in terracotta attribuite al Clemente.
Le modifiche interne al Palazzo sono state profonde: lo scalone risulta interamente ricostruito tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Al piano nobile, le grandi stanze, direttamente collegate tra di loro, sono state adattate a uffici negli anni venti del Novecento.
Malgrado i pesanti interventi, si sono conservate le sovraporte a volute in stucco, di gusto settecentesco, ricoperte di smalto sintetico grigio verde. Degli antichi camini, che dovevano essere presenti in ogni stanza, ne rimane invece uno.
Il recente restauro dell’edificio ha portato alla luce un ricco apparato decorativo e riconferito, almeno in parte, la spazialità originaria delle stanze del piano nobile. In particolare, è stata ripristinata la volta settecentesca affrescata con motivi di sfondato illusionistico.
Gli interventi al “camerino” di Gasparo Scaruffi hanno consentito il recupero di un capolavoro perduto: il ciclo pittorico con scene tratte dall’Asino d’oro di Apuleio in lunette con fregi a festoni di fiori e frutti.
Le lunette rivelano l’alta qualità esecutiva dovuta quasi certamente alla mano di Orazio Perucci, allievo di Lelio Orsi. L’ambiente ricorda i “camerini” cinquecenteschi, quali la Sala del Paradiso della Rocca di Scandiano, quella di Novellara e di altri palazzi ducali. La struttura del soffitto doveva essere con volta a padiglione ribassata e, quasi sicuramente, affrescata.
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