Palazzo del Capitano del Popolo, oggi Hotel Posta, si affaccia sulla piazza del Comune e del Duomo, nel cuore della città.
Note storiche
I documenti riportano come, nel 1272, il Comune guelfo della città fece intraprendere i lavori di costruzione di un Palazzo Nuovo del Comune, vicino al vecchio palazzo, l’attuale Palazzo del Monte.
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Il Palazzo era diviso in due parti da un cavalcavia che sovrastava la via Tacoli (non più esistente). Un secondo cavalcavia collegava la costruzione al Palazzo del Podestà. Al piano terra, sotto un portico di legno, erano collocati i banchi di una pescheria, dove si vendevano pesci e gamberi, e la gabella del sale. Era inoltre presente il portico delle biade.
All’inizio del Trecento, i locali del piano terra erano usati per diversi esercizi commerciali, tra cui le botteghe di un merciaio, due cappellai e un cimatore. Nel 1311, l’area era stata dichiarata sacra e interdetta all’uso delle armi, a riprova del valore simbolico e politico assunto dal Palazzo. Nonostante questo, le cronache riportano accadimenti cruenti, a causa della faziosità e dell’instabilità politica che caratterizzavano il periodo comunale e signorile.
Nel 1339, i Gonzaga, per difendere la città in un periodo di grave turbamento politico, murarono l’accesso ai Palazzi del Capitano del Popolo e del Podestà e spostarono la sede del potere giudiziario e militare nella Cittadella, l’area oggi occupata dai Teatri e dai giardini pubblici.
Alla fine del ‘300 la città cadrà in mano viscontea per poi, nel 1409, ritornare agli Este. Saranno proprio gli Este a far costruire il palazzo che collega i due Palazzi del Comune e quello del Capitano del Popolo, creando un’unica facciata sulla piazza del Duomo.
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Un documento notarile datato al 4 marzo del 1516 narra come il Palazzo del Capitano del Popolo divenne una “bona e capace hosteria”.
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Nel 1516, la famiglia Scaruffi ricevette in affitto, per 25 anni, i locali del piano terra del Palazzo del Popolo per aprire quattro botteghe e un’osteria, con annessa stalla. Nel Seicento, l’osteria si chiamava Osteria del Cappello e aveva un’insegna posta sulla porta d’ingresso con un cappello di ferro dipinto di rosso.
Nel 1590, l’esercizio apparteneva a un oste chiamato Bartolomeo Panighi che era anche maestro di posta, quindi titolare del servizio di cambio dei cavalli e della consegna della posta. Dopo solo tre anni, il Consiglio degli Anziani decise però di non rinnovargli l’affitto perché, a detta di alcuni forestieri, il servizio offerto era scadente.
Probabilmente, in quella occasione, la concessione per il servizio di posta ritornò a una rinomata osteria della città, l’Osteria del Giglio, sita sulla via Regale.
Nel Settecento, l’osteria nel Palazzo del Capitano del Popolo era chiamata Osteria del Cappel Rosso, Osteria della Posta e fu soggetta a una serie di interventi di riqualificazione. Già alla fine del Seicento, era stato necessario abbattere i merli, ormai pericolanti, nel 1763 si decise di distruggere il cavalcavia verso la via Regale.
Nei documenti, rimane memoria dei nomi suggestivi che, negli ultimi decenni dei Seicento, erano assegnati alle stanze dell’osteria: la camera dell’Angelo, del Paradiso, della Luna e di San Paolo.
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L’architettura
Nell’800, il Palazzo del Capitano del Popolo fu oggetto diversi interventi di ristrutturazione, tra cui l’intonacatura delle pareti, la chiusura delle bifore, la distruzione del portico della dogana e dei magazzini del sale. Venne però recuperato l’antico salone delle adunanze, che era stato convertito in fienile, per essere usato per celebrazioni e feste.
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Alla fine dell’800 venne costruita la facciata sul retro, su piazza del Vescovado, con fregi in cotto di gusto eclettico, fasce marcapiano, lesene, mascheroni, mensole e cariatidi.
Nel 1909, la proprietà dell’edificio passò a Enrico Marchesi che affidò all’ingegnere Guido Tirelli la ristrutturazione della facciata sulla piazza del Duomo.
Tirelli avrebbe voluto ricostruire le tre arcate del Portico della Pescheria, ma il Comune intendeva far demolire il collegamento con Palazzo del Monte. L’ingegnere fu quindi costretto a progettare l’abbattimento della volta storica e la realizzazione della facciata con soli due archi. I lavori iniziarono nel 1913, ma si dovettero interrompere a causa della guerra.
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L’interno
All’interno, Guido Tirelli realizzò il Gran Salone di gusto eclettico, con stucchi, modanatura e pitture di gusto art nouveau per mano dell’artista Giuseppe Tirelli.
Nel 1925, il nuovo proprietario, Eugenio Terrachini, richiamò Guido Tirelli per completare il progetto che era stato interrotto dallo scoppio del primo conflitto mondiale.
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Durante i lavori, vennero però alla luce le tracce della struttura medioevale, mattoni policromi, affreschi, resti di archi e bifore, e la Regio Soprintendenza ai Monumenti impose la sospensione dei lavori.
Si giunse infine al restauro conservativo eseguito dallo stesso Tirelli e dall’ingegnere Paolo Terrachini.
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